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LA STORIA DONNA SI CONFONDE CON LA LEGGENDA

Moda e cultura camminano per mano

Ed ecco la pubblicazione del primo capitolo di questo libro che tanto mi ha interessata, << Il femminismo nel pensiero politico. Un saggio di storia dimenticata >>. L’autrice, Katiuscia Giubilei ci racconta, in modo intrigante, la posizione  femminile nella storia di tutti i tempi, a partire da Eva…

LA STORIA DONNA SI CONFONDE CON LA LEGGENDA

I capitolo

GLI ALBORI DEL FEMMINISMO

TRA REALTA’ E FANTASIA

Caterina da Siena e la Papessa Giovanna

La presenza della donna determina il corso della storia ed è lecito domandarsi quanto sia corretto parlare di una storia delle donne diversa da quella degli uomini. Già nella Cabala si parla dell’essenza femminile: << Il primo compito di Elohim fu quello di governare l’imponente flusso energetico del Tohu Bouh. Per farlo Egli dispiegò la sua natura passiva femminile e, la sostanza prima-generata emanata direttamente (…) dalla parte di Dio, diventò un’essenza femminile. Quando lo Spazio universale (…) fu riempito della femminilità di Elohim, il fiotto della sua mascolinità poté fecondare il corpo femminile. Dall’unione di queste due Forze, femminile prima e maschile poi, sono nate per emanazione le altre Forze che (…) costituiscono la Creazione >> (dal libro Iniziazione alla Cabala “ Le forze dell’ Universo ”, La creazione e l’albero della vita. Haziel, Nuovi misteri, Oscar Mondadori).

Che dire poi delle Sacre Scritture, dell’Antico Testamento, che racconta di Giuditta, non meno peccatrice di Eva ma salvatrice della sua patria. Ecco la storia: durante il Regno di Nabucodonosor, tanti e tanti anni fa, gli israeliti, assediati e ridotti allo stremo, stavano ormai per arrendersi, distrutti dalla fame e dalla sete, quando la vedova Giuditta decise di presentarsi, in gran pompa, al persecutore di nome Oloferne; il quale, sedotto dalle grazie, dalla apparente ritrosia, dal senso di superiorità e dalla bellezza della donna, se ne innamorò. Ed ecco che ubriaco, ormai sicuro di sé, accedette al talamo, dove lei… lo colpì violentemente con un’ascia, staccandogli la testa, consegnata quindi al popolo liberato. Quanta violenza! ma che emozione e quello di Giuditta è solo uno dei tanti episodi biblici, più che moderni, che raccontano l’immagine di una bellezza di indiscussa virtù, maestra di seduzione e di inganno, capace di salvare le sorti.

Eppure, Cabala e Testi Sacri a parte, la discriminazione femminile è davanti agli occhi di tutti e, quando si parla delle donne, perfino la storia diventa pettegolezzo, nella deformazione maschilista dei libri e dei racconti, dove amanti, relazioni affettive e complicità fanno regolarmente da sfondo al lavoro e alla partecipazione attiva delle donne, nei secoli.

Quando la storia << Ci >> racconta, non dimentica mai il nostro coinvolgimento sessuale e affettivo (che riporterò solo a dimostrazione di ciò nel saggio) ma anzi lo racconta sulle pagine dei libri, senza rispetto, e in modo molto differente che nei casi maschili; in maniera cioè più vincolante, come se qualsiasi relazione non avesse corso tra entrambi i sessi e come se la donna, senza tale rapporto, non potesse avere storia né tantomeno nutrire interesse. Però non è così.

Viene tramandato che, nell’ambito della scuola pitagorica del VI sec. a.C., le donne fecero la prima comparsa sulla scena dello studio, soprattutto come seguaci e praticanti di filosofia. Intorno al 440 a.C. si distinse Aspasia di Mileto, che poi la storia ricorda soprattutto come amante di Pericle, il grande statista dell’Atene del V sec. a. C.. Ma Aspasia fu principalmente una forte intellettuale, come testimonia la tradizione attica, un’ abile retore e soprattutto maestra dello statista. È Plutarco, nell’opera dal titolo “Vita di Pericle” a trasmetterne la testimonianza più antica, che la fa docente anche di altri ateniesi di spicco.

Senofonte (430 a.C. – 355 a.C.), nei “Memorabilia”, la ricorda come guida di Socrate. E, in un frammento dell’ “Aspasia” di Eschine, giunto a noi tramite Cicerone e Quintiliano, la studiosa si rivolge alla moglie di Senofonte e a lui stesso, in un’ animata discussione culturale. Insomma.. qualcosa Aspasia ha fatto. Giuditta anche. E molte altre.

Oltre a questi episodi, nel mondo antico, una forte e ardita modernità sarà riscontrabile, anni dopo, in una bella ed originale commedia di Aristofane. È del 411 a.C. la “Lisistrata”, eroina  capace di “sciogliere gli eserciti” (è quanto significa il suo nome). L’opera è nota per il grande sciopero del sesso, con cui le donne elleniche ricattarono i propri uomini, per porre fine alla guerra del Peloponneso. Le ardite riuscirono nel loro intento ma gli uomini non riconobbero loro alcun merito politico! Da questo si evince la modernità assoluta dell’opera, straordinaria nel rendere espliciti, già lontano nei secoli, i temi del sesso e della politica, con l’astensione delle donne, ma anche della loro emarginazione.

Un ultimo ricordo è per Diotima, sacerdotessa di Mantinea, che nel Dialogo platonico il “Simposio” (385 a.C.) viene nominata da Socrate, il quale dice di aver appreso da lei la teoria dell’amore: “Amore non è un dio (…) Fu lei a erudirmi nelle questioni d’amore” .

Gli esordi sono prestigiosi – tranne la considerazione << aggiunta >> di Eva nella Genesi ( nella Prefazione ) – e sebbene il lavoro si apra in contestazione del testo Biblico, rievoca invece ora la forza del credo e il valore di una grande donna, missionaria e santa: Caterina da Siena, Dottore della Chiesa e Patrona d’Italia. È con Lei che la donna entra nel vivo della politica. Papa Giovanni Paolo II La omaggia definendola non solo “messaggera di pace” ma “mistica della politica”, in virtù del costante e convinto impegno, che riversò per tutta la vita, nella ricerca di pace e di amore fraterno. Con Lei si narra la storia di una donna, soggetto attivo di unione con Dio, testimone della propria esperienza mistica nella storia, attraverso la scrittura, che si fa in questo frangente mezzo di perfezione. Tra il 1200 e il primo Cinquecento, la storiografia letteraria cita il suo nome come unica testimonianza femminile e laddove la tradizione laica è connotata da un forte silenzio dell’intellettualità rosa, Caterina da Siena si fa simbolo dell’ affascinante ambiguità della scrittura, con la sua raccolta epistolare ed il “Dialogo della Divina Provvidenza”, da lei stessa definito “Il Libro”.

Paolo VI, nell’omelia del 3 ottobre 1970, in proclamazione della Santa Dottore della Chiesa, ha detto: “Fu anche politica la nostra devotissima Vergine? Sì indubbiamente ed in forma eccezionale ma in un senso del tutto spirituale della parola”.

Fu una donna molto forte Caterina, anche se affetta da problemi psicologici importanti, come l’anoressia e i perenni sensi di colpa. Nacque a Siena il 25 marzo del 1347 e, fin da piccola frequentò i frati Predicatori della Basilica di San Domenico. A sei anni, si narra, che ebbe la prima visione e, pur vestendo a soli sedici anni l’abito del Terzo Ordine delle Mantellate, la santa non sceglierà mai il convento né la clausura, dichiarando che il suo esclusivo rapporto con Dio non ammetteva regole, nemmeno di appartenenza a gruppi religiosi.

Tra apparizioni, digiuni ed opere di bene, la sua fama si diffuse e attorno a Lei cominciano a raccogliersi gruppi di fedeli. Preoccupati di tanto clamore, i domenicani La sottoposero ad un esame di ortodossia, superato brillantemente. L’ordine religioso Le assegnò tuttavia un direttore spirituale, Raimondo da Capua, che divenne Suo erede (Beato Raimondo da Capua. Capua (Ca) 1330 ca. – Norimberga 1339).

Nel 1376 i fiorentini Le chiesero di intercedere presso papa Gregorio XI, con il quale erano sorti disaccordi per tasse e alleanze politiche. Caterina, in veste di ambasciatrice di pace, si recò ad Avignone e disse al Santo Padre: “Otterrete di più col bastone della benignità che col bastone della guerra”. Era il 13 settembre del 1376 e la santa convinse il Papa a lasciare definitivamente Avignone e rientrare a Roma. Il rientro del pontefice nella Capitale (17 gennaio 1377) e la sua morte, avvenuta poco dopo, originarono un’aspra lotta fra il Papato ed i Cardinali francesi, che volevano mantenere la Corte papale in Francia. Anche di questo problema politico-diplomatico si occupò Caterina, che risanò lo scisma occidentale, dopo essere stata chiamata a Roma dal successore di Gregorio, Papa Urbano VI. Fu un papa con qualche squilibrio mentale, quest’ ultimo, violento e ostinato, contro il quale i francesi elessero un Antipapa, Clemente VII,  il quale fu poi costretto a fuggire ad Avignone insieme ai cardinali che lo avevano eletto.

Il 29 aprile del 1380, a trentatré anni, Caterina si spense, stremata dalle mortificazioni ascetiche e dalla fatica. Sepolta a Roma, nel cimitero di Santa Maria sopra Minerva, tre anni dopo Le venne staccato il capo e portato, come reliquia, a Siena. La Chiesa canonizzò la giovane il 29 giugno del 1461, circa ottant’anni dopo la  morte.

In una Lettera, la n. 123 scrisse: “La pazienza non è mai vinta ma sempre vince e rimane donna” (da Un amore ardente a Cristo e alla Chiesa di A. Odasso).

Riconosciuto e omaggiato il valore della Santa Patrona d’Italia, tra confessioni e storia, leggenda, tradizione e attualità, senza peccare nel connubio tra sacro e profano – ma riportando la notizia per puro dovere di cronaca – il riferimento va alla Papessa Giovanna, meretrice e strega per i cittadini del tempo e per gran parte della critica contemporanea.

A metà del IX secolo d.C., dalla città tedesca di Magonza, travestita da uomo e in funzione di prelato, si racconta che la donna papa venne a Roma, svolse una brillante carriera ecclesiastica e, sotto spoglie maschili, venne eletta Papa, con il nome di Giovanni. Ma dopo due anni e mezzo di magistero avvenne lo scandalo! Rimasta incinta, la Papesse partorì durante una solenne processione, a Roma, tra il Colosseo e la Chiesa di Clemente.

È leggenda? Forse, indubbiamente evocabile, perché trattata in più testi, dalle antiche cronache ai libelli polemici di luterani e cattolici, dalle novelle, ai poemi e ai romanzi. E dato che, effettivamente la storia registra l’operato di una Papessa di nome Giovanna, questo saggio ne tenta anche una riabilitazione, dalla perversa calunnia di indemoniata, fornendo piuttosto l’ipotesi di una donna audace.

La notizia più antica sul misterioso personaggio risale al 1080 (ca.) ed è rintracciabile nel “Chronicon” del teologo benedettino Mariano Scoto, il quale segnala in due righe che Papa Leone IV, nell’855, “successe Giovanna, una donna, per due anni, cinque mesi e quattro giorni”.  Dalla “Cronica Universalis” (125) del domenicano francese Jean de Mailly, la frammentaria notizia diventa più circostanziata, anche se “da verificare, su un certo Papa o piuttosto Papessa, perché era femmina, simulando di essere uomo, diventò notaio di Curia per acutezza d’ingegno, quindi cardinale e infine Papa”.

Il personaggio compare anche nella Prima Storia Ufficiale dei Papi di Santa Romana Chiesa, “Vitae Pontificum Romanorum”, scritta, su incarico di Papa IV, dal bibliotecario vaticano Benedetto Sacchi. Pubblicata a Venezia nel 1479, in questa opera, la Papessa viene menzionata con il nome maschile di Giovanni VII, tra Leone IV e Benedetto III e poi, nelle successive edizioni, tradotte in volgare, viene ricordata come Giovanni femina.

Il racconto ha ispirato numerose interpretazioni letterarie: ne celebrano l’esistenza il Belli, nel sonetto dal titolo omonimo ed il Boccaccio, nel “De Claris Mulieribus”.

Questa storia, vera o presunta, ha avuto la propria importanza, perché ne hanno fatto uso scismatici e luterani nelle proprie invettive antipapiste, attraverso una serie inesauribile di libelli. Emerge tra tutti quello del luterano italiano Pier Paolo Vergerio, 1557, che tentò di autenticare la figura di una Papessa negromante. La << favola >> diventò così pretesto di discussione politica, tra luterani e cattolici, per incasellarsi definitivamente nella storia popolare di un personaggio realmente vissuto. Ne è testimone, infine, un codice del 1300 ca. che ne parla in maniera meno scandalosa degli altri: la Papessa Giovanna non sarebbe morta di parto durante una processione ma “subito deposta” avrebbe vestito “l’abito monacale, vivendo in penitenza, finché suo figlio divenne vescovo di Ostia”. Se così fosse, prenderebbe ragione di esistere anche il cosiddetto vicus papisse, localizzabile a Roma nell’attuale via dei Querceti dove, all’angolo con via dei Ss. Quattro, un sacello ancora esistente tramanderebbe la memoria del fatto. Il vicus faceva parte della Via Major, dove passava il Corteo Pontificio, nella processione tra il Colosseo ed il Laterano. Nella sua “Cronica” del 1277, il cardinale boemo Martino Colono, domenicano attivo in Curia anche come storico, riferisce che da allora quella strada sarebbe stata evitata con una deviazione del percorso.

Sitografia

www.url.it/donnestoria

www.ildiogene.it

www.centrostudicateriniani.it

www.biografieonline.it

www.duepassinelmistero.com

 

Il libro

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L’autrice Katiuscia Giubilei

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